De izquierda a derecha, Salvador Dalí, José Moreno Villa, Luis Buñuel, Federico García Lorca y José Antonio Rubio Sacristán, en La Bombilla (Madrid) en mayo de 1926.
Lorca 1Lorca 2Romancero gitanoRomance de la luna lunaRomance sonámbulo
Mi scuso…nell’audio ho parlato di “setaccio”, che è la traduzione di pandero, ma in questo caso sicuramente si riferisce al tamburello tipico della musica flamenca…
Romance de la luna luna
La luna vino a la fragua con su polisón de nardos. El niño la mira mira. El niño la está mirando.
En el aire conmovido mueve la luna sus brazos y enseña, lúbrica y pura, sus senos de duro estaño.
Huye luna, luna, luna. Si vinieran los gitanos, harían con tu corazón collares y anillos blancos.
Niño déjame que baile. Cuando vengan los gitanos, te encontrarán sobre el yunque con los ojillos cerrados.
Huye luna, luna, luna, que ya siento sus caballos. Niño déjame, no pises, mi blancor almidonado.
El jinete se acercaba tocando el tambor del llano. Dentro de la fragua el niño, tiene los ojos cerrados.
Por el olivar venían, bronce y sueño, los gitanos. Las cabezas levantadas y los ojos entornados.
¡Cómo canta la zumaya, ay como canta en el árbol! Por el cielo va la luna con el niño de la mano.
Dentro de la fragua lloran, dando gritos, los gitanos. El aire la vela, vela. el aire la está velando.
Romance de la luna luna – Federico García Lorca
La luna venne alla fucina col suo sellino di nardi. Il bambino la guarda, guarda. Il bambino la sta guardando.
Nell’aria commossa la luna muove le sue braccia e mostra, lubrica e pura, i suoi seni di stagno duro.
Fuggi luna, luna, luna. Se venissero i gitani farebbero col tuo cuore collane e bianchi anelli.
Bambino, lasciami ballare. Quando verranno i gitani, ti troveranno sull’incudine con gli occhietti chiusi.
Fuggi, luna, luna, luna che già sento i loro cavalli. Bambino lasciami, non calpestare il mio biancore inamidato.
Il cavaliere si avvicina suonando il tamburo del piano. Nella fucina il bambino ha gli occhi chiusi.
Per l’uliveto venivano, bronzo e sogno, i gitani. le teste alzate e gli occhi socchiusi.
Come canta l’allocco, ah, come canta sull’albero! Nel cielo va luna con un bimbo per mano.
Nella fucina piangono, gridano, i gitani. Il vento la veglia, veglia. Il vento la sta vegliando.
Romance Sonámbulo
Verde que te quiero verde. Verde viento. Verdes ramas. El barco sobre la mar y el caballo en la montaña. Con la sombra en la cintura ella sueña en su baranda, verde carne, pelo verde, con ojos de fría plata. Verde que te quiero verde. Bajo la luna gitana, las cosas la están mirando y ella no puede mirarlas.
Verde que te quiero verde. Grandes estrellas de escarcha, vienen con el pez de sombra que abre el camino del alba. La higuera frota su viento con la lija de sus ramas, y el monte, gato garduño, eriza sus pitas agrias. ¿Pero quién vendrá? ¿Y por dónde? Ella sigue en su baranda, verde carne, pelo verde, soñando en la mar amarga.
–Compadre, quiero cambiar mi caballo por su casa, mi montura por su espejo, mi cuchillo por su manta. Compadre, vengo sangrando, desde los puertos de Cabra. –Si yo pudiera, mocito, este trato se cerraba. Pero yo ya no soy yo, ni mi casa es ya mi casa. –Compadre, quiero morir, decentemente en mi cama. De acero, si puede ser, con las sábanas de holanda. ¿No ves la herida que tengo desde el pecho a la garganta? –Trescientas rosas morenas lleva tu pechera blanca. Tu sangre rezuma y huele alrededor de tu faja. Pero yo ya no soy yo, ni mi casa es ya mi casa. –Dejadme subir al menos hasta las altas barandas, ¡dejadme subir!, dejadme hasta las verdes barandas. Barandales de la luna por donde retumba el agua. Ya suben los dos compadres hacia las altas barandas. Dejando un rastro de sangre. Dejando un rastro de lágrimas. Temblaban en los tejados farolillos de hojalata. Mil panderos de cristal herían la madrugada.
Verde que te quiero verde, verde viento, verdes ramas. Los dos compadres subieron. El largo viento dejaba en la boca un raro gusto de hiel, de menta y de albahaca. –¡Compadre! ¿Dónde está, dime? ¿Dónde está tu niña amarga? ¡Cuántas veces te esperó! ¡Cuántas veces te esperara, cara fresca, negro pelo, en esta verde baranda!
Sobre el rostro del aljibe se mecía la gitana. Verde carne, pelo verde, con ojos de fría plata. Un carámbano de luna la sostiene sobre el agua. La noche se puso íntima como una pequeña plaza. Guardias civiles borrachos en la puerta golpeaban. Verde que te quiero verde, verde viento, verdes ramas. El barco sobre la mar. Y el caballo en la montaña.
Romance sonámbulo
Verde che ti voglio verde. Verde vento. Verdi rami. La nave sul mare e il cavallo sulla montagna. Con l’ombra alla vita ella sogna alla sua balaustra, verde carne, chioma verde, con occhi d’argento gelato. Verde que te quiero verde. Sotto la luna gitana, le cose la stanno guardando ed ella non può guardarle.
Verde che ti voglio verde. Grandi stelle di brina vengono col pesce d’ombra che apre la strada dell’alba. Il fico sfrega il suo vento con lo smeriglio dei suoi rami, e il monte, gatto sornione, arriccia le sue agavi acri. Ma, chi verrà? e da dove?… Ella sempre alla sua balaustra, verde carne, chioma verde, sognando l’amaro mare.
– Compare, vorrei scambiare il mio cavallo con la tua casa, la mia sella col tuo specchio, il mio coltello con la tua coperta. Compare, arrivo insanguinato dai valichi di Cabra. – Se potessi, caro amico, il cambio sarebbe già fatto. Ma io non sono più io, né la mia casa è più la mia casa. – Compare, voglio morire decorosamente nel mio letto. Molle d’acciaio, se è possibile, con le lenzuola d’Olanda. Non vedi questa ferita dal petto alla gola? – Trecento rose brune sulla tua camicia bianca. Il tuo sangue gocciola e odora alla fascia della tua cintura. Ma io non sono più io, né la mia casa è più la mia casa. – Lascia almeno che salga fino alle alte balaustre; lascia che salga, lascia, alle verdi balaustre. Colonnine della luna per dove rimbomba l’acqua.
Salgono i due compari alle alte balaustre. Lasciando una traccia di sangue. Lasciando una traccia di lacrime. Tremavano sui tetti lanternine di latta. Mille tamburelli di vetro ferivano le luci dell’alba.
Verde que te quiero verde, verde vento, verdi rami. I due compari salirono. Il lungo vento lasciava in bocca uno strano sapore di fiele, di menta e basilico. – Dove sta, dimmi, compare! Dove, la tua ragazza amara? – Quante volte t’ha aspettato! Quante volte t’aspettò, viso fresco, nera chioma, a questo verde balcone!
Sulla faccia della cisterna la gitana si dondolava. Verde carne, chioma verde con occhi d’argento gelato. Un ghiacciolo di luna la sorregge sull’acqua. La notte si fece intima come una piccola piazza. Guardie civili ubriache alla porta bussarono. Verde que te quiero verde. Verde vento. Verdi rami. La nave sul mare. E il cavallo sulla montagna.
Nel cortile risuonano i salti del pallone, che poi fugge al di là della ringhiera. Guance rosse e labbra in fuori per chiedere al vecchio signore. Sorride. Ripensa a bambini in bianco e nero, in prati nascosti dalla guerra.
Una corsa a chi arriva primo, una risata bella e piccola e una vittoria in regalo; e poi un ginocchio sbucciato e due lacrime dolci.
E girare di ruote gonfiate di fresco che si erano addormentate al riparo dall’inverno. Spingi sui pedali,
non sai se sudare o aver freddo.
Pochi aerei hanno disegnato una scacchiera con il rosa e l’azzurro del cielo, che pare aver voglia di una canzone diversa. E ti viene da fischiettarla con lui,
lì fuori, su questo inverno che sembra sapere, anche quest’anno, che è il momento di salutare.
Poi una sirena.
E in un secondo siamo tornati qui. Ingabbiati nel nostro torace, carico di nera angoscia oleosa sulle nostre ali bianche di pianto. Siamo tornati
consapevoli di questo tempo surreale e freddo come un incubo sudato, vero come una sentenza, lungo come un rosario.
Nostro, come lo può essere una disgrazia. (16. Luna degli accecati dalla neve. 2020)